venerdì 6 giugno 2008

Nel " qui ed ora" il dolore nel ricordo dell'assensi(O).


In fin dei conti la casa è di vetro. Chi guarda dall'esterno, ma non lo si può fare, vede un coperchio quadrangolare, assolutamente integro, da cui penserà che sia forse sottovuoto. Sotto questo coperchio vedrà noi. La casa è di vetro infrangibile, come si dice. Noi, non usciamo mai fuori. Non c'è dove andare. Siamo nati qui. Siamo qui da sempre e non c'è niente altro. Ci chiamano Abitanti dell'Interno di Vetro. La denominazione è inesatta, perchè l'interno non è di vetro e noi là dentro arriviamo a respirare, senza difficoltà e in modo da non accorgercene. Il vetro ha vari strati. Siamo proprio nel mezzo, e sfioriamo appena l'ultimo, il più vicino a noi. Molti strati fino al bordo del quadrangolo. Tutto intorno dell'acqua. Proprio in fondo, dove non arriviamo a vedere, poco prima del punto in cui non arriviamo a vedere, l'acqua finisce è c'è il cielo. Non ci sono colori in questo cielo, che vediamo anche diritto sopra di noi, sopra il vetro sopra di noi, è solo chiaro come certi occhi senza colore. Siamo nudi. Ci sfioriamo a vicenda, senza riconoscerci l'uno con l'altro. Eppure non siamo ciechi. Spesso pensiamo, qualcuno di noi, e quello sono io, pensa che l'assumere acqua in eccesso non ci consente di distinguerci. C'è qualcosa d'altro? Non lo sappiamo. Come è il giorno così è la notte. Passano innumerabili, bianchi e neri. Quello nero, è il buio, quella bianca, è la luce. Niente di più. Quanti siamo. Non abbiamo imparato a contarci. Siamo una folla. Una folla acefala. Senza linguaggio. Però proviamo sensazioni. Ci esprimiamo col guardare. Nudi, muti in un interno di vetro, tutto intorno acqua, luce, buio. Bere. Bere acqua. Così va la vita, che è senza fine. Mai la morte, non ne abbiamo memoria. Siamo nati qui. Tutti, nessuno prima, ma nessuno neppure dopo. Né vento, né bonaccia, né freddo, né caldo, una temperatura costante, impercettibile e delicata, né donna, né uomo, come potremmo sapere. Così a lungo abbiamo guardato i capelli, fino a che i capelli sono spariti. E le mani. E la bocca. E il naso. E il petto. E le gambe. Tutto questo c'è, abbiamo tutto. Il superfluo. Il superfluo ovviamente non c'è, non c'è niente. Ci sono solo certe cose, che si possono comunicare con le dita di una mano, se è necessario comunicarle, ma nessuno lo sa fare. La cosa del guardare, che finisce nel non guardare. La cosa dell'acqua che da un'apertura scorre sul volto e che continua a durare. La cosa del contatto, che però non c'è, perchè non c'è il non contatto, non c'è la solitudine. Tutto. Gli occhi sempre aperti. Un qualcosa si trova in essi: il buio, la luce. Così passano i giorni. Con identica rapidità. senza sosta.
Aspetto che mi metto a ricordare quello che ero.

(Liberamente tratto da "Eta Eta gli uccelli gialli" di Jiri Orten)

1 commento:

Isabella ha detto...

Bel brano...
Non conosco questo autore.
Vado a dare un'occhiata ora su "santo" Google..
E' da te...
Isabeau